Chi crede come te all’infedeltà delle nubi,
chi altri ha un dolore così, senza motivo,
chi lascia Ie scarpe fuori dalla porta,
chi spiega al focolare il freddo delle foglie,
chi lancia I’ essere verso sé,
chi altri non ha come te,
chi è come te
o corpo.
Così, dèvi da loro con l’asprezza d’una strada, per non giungere
perché le tue scarpe cadano su una lezione che ti ignora
E appena impari a lavorare la sua pietra grezza
eserciti la tua decadenza
come chi sotto il cappotto si ripara da una neve irresolute
che scende piano
Così concludi il giomo del tuo suicidio?
Di notte il sonno ti fugge
s’allontana l’acqua della coppa più vicina
come se fossi il deserto,
e dissipassi i tranelli del miraggio,
recinto da un campo di cammelle e da corridoi di marmo
prostrato dall’arsura rovinosa
e tutta l’acqua, annega nella caraffa che sgrida la tavola
di notte, tutto questo è tuo… di notte
Vestito della tua stessa ferocia
cerchi un sonno che sia senza di te.
Solo,
o solo con la famiglia che ti accusa,
intorno a te l’architettura di calce bagna un luogo
chiuso in un recinto tenace che rimanda i latrati della notte
Una casa come le altre dove gioca il vento
che inizia nel marmo di soglie che ti biasimano
Proprio questo giorno
sei caduto,
ignaro di soffocare nella nebbia indefinita
eccitato al suono del metallo che non nasconde l’eco
All’improvviso t’hanno spinto indietro. Tu non l’hai vista
hai fatto un salto come di rana al tocco della morte
hai girato la lama della chiave nel pudore della porta
e celato il tuo volto più intimo nella calma del pavimento
Allora le tue membra son fiorite alberi nel giardino infinito
allora hai respirato con tutte le tue ossa
e hai generato il fiume delle lacrime…
Ma tu non c’eri.
Cosa ti colpisce
cosa tormenta la calma delle guance
ogni volta che vai – embrione senza vita
verso un’aguzza esistenza che non ami…
In alto su di lei
Ie rubi i lineamenti affilati
chino sulla sponda del terrazzo
lotti contro l’ala bagnata che sostiene le tue labbra
un mondo gremito per te d’artigli infiniti
Ne provi pietà
straziandone i doni
Poi chiudi lo sguardo in te stesso.
Come le viole racconti l’odore dei tuoi giorni
estratto come argilla sconosciuta
svanisci nell’ignoto.
Rapito dall’agire degli zingari
che coprono tempie che sfuggono
che danzano febbrili sui carboni ardenti
Divertito alle offerte sacre che la tua anima dolente recide
suoni fuori tempo campane che non rimandano la messa
per cercare te.
Come roccia che conosce il sapore dei venti
l’erosione delle cime elevate
rifiuti di posare il corpo ai piedi del monte
Perché la tomba non sia tua compagna,
di un corpo eletto dalla notte
circondato da corazze nemiche
che insegna che amare
é quasi annegare(1).
Fragile foglia che brucia nella franta esistenza
che affida agli spazi delle vette il sangue del passato
non hai parlato a nessuno
non hai estinto la sete
non sei morto prima della morte
non hai tradito i peccati delle mani
sei venuto nel giro di fuoco
a eccitare illancio dei sassi
un profeta che invoca gli dei
che disperde le sue preghiere
Custode a volte
altre, ribelle al gregge:
così ti perpetui.
Quando l’acqua delle lacrime
ti è rubata, lontano
sei come un lago
ferito dall’erodere del sale
e si rifugia in te
foglia
e foglia
cade da te.
Del tuo gemito di lettere non ha pietà
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(1) Qui in arabo c’è un gioco di parole pressoché intraducibile, tra jubb “pozzo” e hubb “amore”.
chi non ha imparato il tocco dell’erba
colui che dei segni del fuoco non s’adorna.
Non dare la colpa a nessuno
Cingi il collo del cuore
e lascia nel petto i mazzi di fiori
Resisti all’aria che ti smarrisce
alla terra che ti muove guerra
Non ti lascia
o s’allontana da te
Loro sono lì, nel torpore di miele
tu sei qui, con la testa che ti duole di incubi
Loro sono lì, nella selva delIa giustizia
tu sei qui, accusato di morte
Ti evitano per maestria del tratto
ti temono limite che mutila il passo
Non s’allontanano, e non ti lascia
Sii tenace con te stesso
E…
le tue dita sfidano a duello il vessillo del biano
nell’assalto del nero sulla cecità del dono
Ricordi…
il mare ha un cammino a forma di lancia
forse
dimenticherai di avere ordito per loro
effluvi di sangue
un funerale che unisce il terrore del grembo alla gravità della tomba
Ma tu
– le mie parole denudate d’una veste di pazienza –
non mi perdonerai
e perdono chiederai alla gente di un pianto
che non resiste al delitto di questo canto.
(Trad. F. De Luca)