Fawzeyya al-Sendī

Nata nel Bahrayn Fawziyya al-Sindī vive in Cairo dove lavora come docente universitaria e giornalista. È stata membro dell associa-zione delle Scrittrici del Bahrayn, dove ha lavorato per oltre un decen-nio. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie che hanno incontrato un buon successo di pubblico e di critica. Ha partecipato a diversi recital di poesia nei paesi arabi e all estero.
Tra le sue raccolte si ricordano risveglio(1982) mi guardo attor-no, desciverò cos’è accaduto(1986) , la gola dell’assente (1998), Il rifugio dell’anima (1999). Le sue opere sono tradotte e pubblicate in diverse lingue.

VESSILLI DEL CUORE

1

Confesso
Io dispersa
Goccia di sangue riversa da pioggia suolo,
capitali adattate in segreti trasformte,
tra le palme delle mia dita,
su piattaforme di collettive risate.

Io cerco
provviste del mio viaggio: dei deprivati la sete
Ia mia biografia: alienate all’osso

Io gioco
con gelide lettere di possibilità il limite,
canto i miei inni a una goccia di bruma mattutina
nata dal retro una lettera
che non si china

non ho conforto,
avanzo.

2

Mio amore
fiorito come amore proibito
braccia collassate attraverso momenti segreti
D’amore e nostalgia
bruciai
per le rose della tua passione

3-Ardore

Logorata
oh bandiere delle bare filate nella terra
questo passo duole
la ritirata è un incubo che cerca un piede
i miei piedi come cuore
bianche di odio maschere
un velo goccia da tempi senza cuore.
Fiamma di sangue per il risveglio
Allora logora
leggi il mio cuore
bandiera di uccelli esiliati
così posso seguire i miei passi
logore… logore
bandiere in collisione con il mio cuore

4-Il segreto

Comunque ci incontrammo. Due tipi solitari
sul marciapiede della disperazione e la pungente scrittura
la pioggia inciampava sull’eco dei nostri passi

E noi
gelo di distanza e verginità dell’acqua;
condividemmo
estraniamento

Hai detto: la città è paura
e i pugnali emigrano come uccelli
perciò segui la mia ombra sola.
Si espandeva il mio cuore e versò
Venne la pioggia, raccolse i segreti
della notte e delle fiabe,
e devastò la città

Dialogo:
vendimi la tua gioia
oh gru! a cui in meditazione
do ali di sangue… I resti
di valigie d’amore e di ceramica
scarpe in attesa di felicità.

Fuochi della mia passione

di canzoni luccianti nel silenzio della miseria

Vendimi la tua tristezza
se vuoi riporteremo con noi il mare della miseria.

5-Apologia

Oh nubi che abitate
oh più lontane nella melodia
delle parole
la luce non basta
ad attizzare il fuoco che si cela nelle vene
e l’agonia delle metafore.
È stretta la sala
perché io possa leggerti
l’annuncio pubblico di morte
così che il momento svelato.
La partia che mi sale in testa come forca

Scruto l’incedere di passi sospetti alla fine
sulla linea
il ruggire di anni sfiniti
mi implorano
leggo
Coraggio! non mi incanti più
catene incidono le mie lettere
taglia il battito del mio cuore
lettere stanno erette nel mio cuore
fluiscono fiume indeclinabile,
raccolgo l’aroma dei passi,
per dare alla mia voce profumo di terra.

Vedo ogni mano stesa
mi ritiro, di alcuni passi per creare
Si avvicina la piattaforma
le mie parole agitano i pugni m’assediano
cellule di desiderio mi esplodono sulle labbra

Recito:
“in nome dell’agonia che coltiva
nei cuori della gente campi di sdegno
nel nome dei prati verdi emergenti dalle rocce…”

Mi placo
riesumo il mio panico

Accetto la mia apologia,
abitante del mitico mare che si chiama
parola.

La mia gioia è avvolta attorno al mondo,
la mia voce assediata come un fiume quando
legge.

(Trad. F.M. Corrao)

LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA
POESIA STRANIERA
Collana a cura di Francesco Stella

Antologia della poesia araba
diretta da Francesca Maria Corrao

© 2004 E-ducation.it S.p.A., Firenze
© 2004 Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. – Divisione la Repubblica, Roma per questa edizione

Non dare la colpa a nessuno

Chi crede come te all’infedeltà delle nubi,
chi altri ha un dolore così, senza motivo,
chi lascia Ie scarpe fuori dalla porta,
chi spiega al focolare il freddo delle foglie,
chi lancia I’ essere verso sé,
chi altri non ha come te,
chi è come te
o corpo.

Così, dèvi da loro con l’asprezza d’una strada, per non giungere
perché le tue scarpe cadano su una lezione che ti ignora
E appena impari a lavorare la sua pietra grezza
eserciti la tua decadenza
come chi sotto il cappotto si ripara da una neve irresolute
che scende piano
Così concludi il giomo del tuo suicidio?

Di notte il sonno ti fugge
s’allontana l’acqua della coppa più vicina
come se fossi il deserto,
e dissipassi i tranelli del miraggio,
recinto da un campo di cammelle e da corridoi di marmo
prostrato dall’arsura rovinosa
e tutta l’acqua, annega nella caraffa che sgrida la tavola
di notte, tutto questo è tuo… di notte

Vestito della tua stessa ferocia
cerchi un sonno che sia senza di te.

Solo,
o solo con la famiglia che ti accusa,
intorno a te l’architettura di calce bagna un luogo
chiuso in un recinto tenace che rimanda i latrati della notte
Una casa come le altre dove gioca il vento
che inizia nel marmo di soglie che ti biasimano
Proprio questo giorno
sei caduto,
ignaro di soffocare nella nebbia indefinita
eccitato al suono del metallo che non nasconde l’eco
All’improvviso t’hanno spinto indietro. Tu non l’hai vista
hai fatto un salto come di rana al tocco della morte
hai girato la lama della chiave nel pudore della porta
e celato il tuo volto più intimo nella calma del pavimento
Allora le tue membra son fiorite alberi nel giardino infinito
allora hai respirato con tutte le tue ossa
e hai generato il fiume delle lacrime…
Ma tu non c’eri.

Cosa ti colpisce
cosa tormenta la calma delle guance
ogni volta che vai – embrione senza vita
verso un’aguzza esistenza che non ami…

In alto su di lei
Ie rubi i lineamenti affilati
chino sulla sponda del terrazzo
lotti contro l’ala bagnata che sostiene le tue labbra
un mondo gremito per te d’artigli infiniti
Ne provi pietà
straziandone i doni
Poi chiudi lo sguardo in te stesso.

Come le viole racconti l’odore dei tuoi giorni
estratto come argilla sconosciuta
svanisci nell’ignoto.
Rapito dall’agire degli zingari
che coprono tempie che sfuggono
che danzano febbrili sui carboni ardenti

Divertito alle offerte sacre che la tua anima dolente recide
suoni fuori tempo campane che non rimandano la messa
per cercare te.

Come roccia che conosce il sapore dei venti
l’erosione delle cime elevate
rifiuti di posare il corpo ai piedi del monte
Perché la tomba non sia tua compagna,
di un corpo eletto dalla notte
circondato da corazze nemiche
che insegna che amare

é quasi annegare(1).

Fragile foglia che brucia nella franta esistenza
che affida agli spazi delle vette il sangue del passato
non hai parlato a nessuno
non hai estinto la sete
non sei morto prima della morte
non hai tradito i peccati delle mani
sei venuto nel giro di fuoco
a eccitare illancio dei sassi
un profeta che invoca gli dei
che disperde le sue preghiere
Custode a volte
altre, ribelle al gregge:
così ti perpetui.

Quando l’acqua delle lacrime
ti è rubata, lontano
sei come un lago
ferito dall’erodere del sale
e si rifugia in te
foglia
e foglia
cade da te.

Del tuo gemito di lettere non ha pietà
________________________
(1) Qui in arabo c’è un gioco di parole pressoché intraducibile, tra jubb “pozzo” e hubb “amore”.

chi non ha imparato il tocco dell’erba
colui che dei segni del fuoco non s’adorna.

Non dare la colpa a nessuno
Cingi il collo del cuore
e lascia nel petto i mazzi di fiori
Resisti all’aria che ti smarrisce
alla terra che ti muove guerra

Non ti lascia
o s’allontana da te
Loro sono lì, nel torpore di miele
tu sei qui, con la testa che ti duole di incubi
Loro sono lì, nella selva delIa giustizia
tu sei qui, accusato di morte
Ti evitano per maestria del tratto
ti temono limite che mutila il passo
Non s’allontanano, e non ti lascia
Sii tenace con te stesso

E…
le tue dita sfidano a duello il vessillo del biano
nell’assalto del nero sulla cecità del dono
Ricordi…
il mare ha un cammino a forma di lancia
forse
dimenticherai di avere ordito per loro

effluvi di sangue
un funerale che unisce il terrore del grembo alla gravità della tomba

Ma tu
– le mie parole denudate d’una veste di pazienza­ –
non mi perdonerai
e perdono chiederai alla gente di un pianto
che non resiste al delitto di questo canto.

(Trad. F. De Luca)